Una cosa che balza subito all’occhio ad Istanbul è che tutto diventa commercio. Ogni angolo di strada è sfruttato per vendere qualcosa, dai mega centri commerciali appena nati all’ultimo degli ambulanti. E dagli ambulanti viene oggi l’articolo più venduto della città: la mascherina anti lacrimogeni! Su Osmanbey di ambulanti ce ne sono a decine, vendono mascherine di tutti i tipi ai ragazzi che si incamminano verso piazza Taksim. Mascherine normali, altre disegnate in maniere buffe. Una ragazza strafica davanti a me ne sta cercando una particolare, con gli occhi da gatta disegnati, almeno così mi dice la sua mimica. Chiede a tutti gli ambulanti ma non la trova e mi sembra dispiaciuta di sfigurare un po’nella manifestazione, si vede che è una che al look ci tiene. Perché non crediate che questi ragazzi siano tutti dei poveracci o dei fricchettoni alternativi, hanno le facce dei miei figli e sono vestiti come loro.
Penserete che mi sono fissato con questa storia di piazza Taksim ma credetemi, in questi giorni qui ad Istanbul c’è poco di che parlarvi di minareti e roba simile, questo è quello che succede e che sta sulla bocca di tutti.
E vi chiederete perché sia finito ancora qui. In effetti il
mio amico Erdogan (non il presidente, il ragazzo titolare dell’agenzia di
ricerca che lavora per me) si è raccomandato di stare attento, che quest’oggi
quelli della polizia avrebbero fatto sul serio. Lui sta dalla parte dei
manifestanti, come praticamente tutti qui, ma è preoccupato per me. “Hai mai
provato i lacrimogeni?”. In effetti sì, gli dico, ma molto tempo fa e di
sfuggita. Da buon padre di famiglia vorrei evitare.
Il piano è quello di prendere la metropolitana e passare
oltre alla fermata di Taksim per poi tornare un po’ indietro fino al mio
albergo che si trova appena dentro la zona transennata.
Ma quando si arriva alla fermata precedente gli altoparlanti
avvisano che il treno si ferma lì perché piazza Taksim è chiusa. Tutti sul
vagone sembrano assolutamente calmi e molto composti. Ma appena usciamo scoppia
un applauso scrosciante lungo tutta la stazione. Non applaudono solo i ragazzi
che sono diretti alla manifestazione ma tutti: impiegati che tornano dal
lavoro, pensionati, tutti.
Mentre saliamo le scale mobili, compostissimi, urlano slogans che ovviamente non posso decifrare.
Guardo su Google Map e c’è poco da fare; il mio albergo si
trova proprio al di là di piazza Taksim. Ed eccomi quindi su via Osmanbey che
cammino in mezzo a questa fiumana di gente. Tutti giovanissimi ma estremamente
composti, tranquilli. Comprano mascherine; la cosa mi diverte, filmo con
l’iPhone e non penso che forse dovrei comprarne una anche io… bella cazzata!
Ci avviciniamo alla piazza, venditori ambulanti preparano
panini con salsicce arrostite indossando anche loro la mascherina.
Una cosa che mi stupisce è che c’è pochissima spazzatura per
terra. Dopo giorni di occupazione come è possibile? La risposta mi arriva dopo
pochi passi. Sacchi di immondizia sono stati diligentemente riempiti dai
manifestanti e radunati in un punto per facilitare il lavoro dei netturbini; da
Italiano penso che questi ragazzi Turchi abbiano qualcosa da insegnarci....
La piazza sembra tutto sommato tranquilla quindi decido di
attraversarla. Arrivo al piazzale dove la sera prima avevo visto i ragazzi
ballare, le bancarelle di libri. Ma non c’è più nulla. Tutto raso al suolo e
portato via. Gli striscioni che ricoprivano la casa occupata sono stati
rimossi.
La folla si addensa davanti al parco che è ancora occupato.
Ed è a questo punto che scoppiano i lacrimogeni, la piazza si riempie di fumo e
si comincia a correre. Il pericolo più che altro è quello di rimanere travolti
e farsi male. I più esperti ci invitano alla calma e a correre piano ma chi
queste cose le bazzica poco si impanica e corre. L’importante è correre nel
modo giusto, né troppo piano né troppo forte, seguendo il flusso. Per fortuna
ero stato lì la sera prima e avevo memorizzato bene i luoghi. So perfettamente dove andare, questione di un
minuto e sono dall’altra parte. Ma anche
sulla via dell’albergo arrivano i fumi orticanti. Io ho solo la giacca davanti
al naso e la bocca per evitare il vomito ma per il resto piango come un
vitello. Non ho paura, solo che gli occhi bruciano proprio!
I negozianti escono dalle botteghe e aiutano le ragazze,
spruzzano acqua nei loro occhi e le fanno entrare dentro a ripararsi.
Arrivo all’albergo un po’ trafelato e con gli occhi fradici.
Il ragazzo della reception mi guarda e ci sorridiamo. “A bit of gas but I made it!” gli dico. Scoppia
a ridere e mi da la chiave, stanza 202. Chiudo le finestre perché un po’ di gas
sale ancora dalla strada.
Ovviamente internet non funziona ancora. Pazienza, aspetterò
domani.
Mi faccio una doccia ed esco di nuovo, questa volta mi
incammino dalla parte opposta di piazza Taksim. Va bene due, ma tre volte… e
poi ho voglia di un po’ di tranquillità, della Istanbul più tradizionale.
Scendo per una stradina verso il Bosforo, mi fermo in un circolino a bere un
the. La terrazza sotto le frasche ha una vista mozzafiato sulla città che si
sta illuminando al vespro. Preghiere si alzano dalla Moschea giù in fondo, mi
godo questa pace. Dei ragazzi accanto a me bevono anche loro the in santa pace,
le mascherine che gli pendono dal collo.
Ritornando all’albergo la situazione è ancora tesa. Nelle
stradine ci sono cariche della polizia contro
i pochi inermi manifestanti ancora in giro. Ancora l’odore acre dei
lacrimogeni. Gli ambulanti continuano a vendere panini agli angoli delle strade
come se nulla fosse.
Incrocio due drag queen che avevo visto la sera prima. Anche
loro portano la mascherina ma non hanno rinunciato a battere anche questa sera,
tubino e tacco a spillo d’ordinanza. Ci mancherebbe, il commercio è una cosa
seria qui!
Dimenticavo, nel filmato manca la parte dei lacrimogeni, non
ho pensato a riprendere ma solo a correre. E poi di quelle cose ne vedrete già in
TV…
Nessun commento:
Posta un commento